8,5

di Fabio Polvani

Adam Granduciel, frontman degli War on Drugs, bada da sempre alla sostanza più che all’estetica. La copertina di “Live Drugs” è quasi totalmente nera, eccezion fatta per una sottile slide ripetuta che inquadra una piccola fascia di pubblico, quasi a voler indicare che il vero protagonista del concerto è lì, in mezzo alla folla, e potresti essere tu che leggi qui ora.

Ho avuto la fortuna di assistere all’esibizione della band al Fabrique di Milano nell’autunno 2017, subito dopo l’uscita del miracoloso “A deeper understanding” e mi sono sentito amato. Sì, la sensazione è stata quella di aver ricevuto un regalo. Sensazione che ho riprovato estremamente vivida durante l’ascolto di questo nuovo disco, uscito il 20 novembre sotto la neonata etichetta di loro proprietà Super High Quality, che taglia e cuce con maestria diversi brani tratti dai loro tour più recenti.

Perché un disco live nel 2020? La risposta è tutta nel background degli War on Drugs. Influenzati come sono da Bruce Springsteen e Tom Petty hanno nel concerto la loro naturale vocazione. Se i dischi in studio sono frutto di un fine lavoro di cesellatura, la dimensione dal vivo riconsegna ai nostri tutta la carica di una band vera, che sa suonare e ha voglia di farlo. La scelta di pubblicare un live durante questo sciagurato 2020 – che ci ha privato della possibilità di sudare sotto il palco, di respirare la luce dei riflettori, di pescare a piene mani da un cesto pieno di caramelle soniche insieme a tanti sconosciuti – è ancora più poetica. E coraggiosa: il mercato ha visto un calo drastico dei dischi dal vivo, segno tangibile che la musica è in crisi di idee, soppiantata com’è da vocoder e digital workstation.

I brani sono molto lunghi, vanno dai 5 ai 12 minuti (altra anomalia per questo periodo), e già questo dovrebbe dirla lunga sul taglio dell’album. Le atmosfere sono quelle a cui la band ci ha abituato negli ultimi anni: tappeti sonori sognanti, umani, capaci di trasportare in un luogo ideale di pace e tranquillità per poi essere sferzati dal vento dei riff di chitarra, potenti, precisi, puntuali. Tanto per capirci, “A deeper understanding” è il disco che metto su quando devo volare in aereo per farmi passare l’ansia ed entrare maggiormente nella “dimensione aria”.

Gli episodi variano dalle divagazioni oniriche di “Strangest Thing” e “Thinking of a place” (due tra i migliori momenti musicali degli ultimi venti anni) al ritmo forsennato di “Red eyes”, dall’heartland rock più puro di “Buenos Aires beach” alla cover di Warren Zevon, antidivo come Adam Granduciel, “Accidentally like a martyr”.

“Eyes to the wind” riporta in alto il sassofono, strumento ormai mitologico, con quel sapore tutto suo di fine anni ’80, e “Under the pressure” corona l’opera con un crescendo lungo dodici minuti.

Sembra di percepire il pubblico che applaude, rumoreggia, canticchia, respira; per chi ama la musica questo disco è manna dal cielo.